RICORDANDO GINO ROSSI alla
Scuola d’ARTI e MESTIERI di CROCETTA
Prescindere dalle umane vicende dell’artista
è pressoché impossibile. Gino Rossi (Venezia 1884 –
Treviso 1947) trascorse un terzo della sua esistenza emarginato negli
ospedali psichiatrici, principalmente quello di Treviso, con una diagnosi
oggi diremo politica più che clinica.
Soffriva di manie persecutorie, degenerate in alcune occasioni con segni
di aggressività. Forse questi comportamenti furono sufficienti
per considerarlo elemento capace di turbare l’ordine pubblico
in nome di un comune senso del perbenismo. Durante gli anni venti del
Novecento bisognava isolare qualsiasi segno di turbativa sociale. Usciti
da una guerra che, oltre all’elevato numero di morti e invalidi,
aveva lasciato profonde ferite nella psiche degli ex-militari, ogni
Comune era invitato ad operazioni di allontanamento dalla società
di chi dava segni di squilibrio o soffriva di disagio psichico. Tra
le poste di bilancio dell’amministrazione comunale si trova la
voce “trasporto maniaci” e anche Gino Rossi, pur definito
professore, sarà vittima di tale comportamento. Del resto la
guerra pure lui l’aveva conosciuta, assieme alla prigionia, nel
pieno della sua vita artistica. Durante l’internamento a Rastatt
non gli saranno nemmeno recapitate notizie della madre né tantomeno
qualche bene di conforto. Cadorna aveva decretato che gli sconfitti
di Caporetto meritavano anche questa ulteriore punizione.
Quando si parla di Rossi si è portati ad associare anche a lui
il binomio arte-follia (anche se per Rossi dobbiamo chiederci quale
follia?), quasi una costante attribuita a tanti grandi artisti, ma questo
concetto va sfatato poiché arte e follia viaggiano su due parallele
che difficilmente possono dipendere una dall’altra. Ne sono convinti
oggi i maggiori esperti di psichiatria.
Rossi fu un pittore autodidatta; non frequentò Accademie ma visitò
Parigi e la Bretagna, sapendo cogliere il vero senso della novità
pittorica e cercando di trapiantarlo in Italia, con grande difficoltà,
anche nella svolta del 1920, quando il pittore si manifesta nelle sue
costruzioni e nelle nature morte, dando prova di seguire le correnti
francesi attraverso le rare, ma confermate, letture della rivista l’Esprit
Nouveau.
Dal 1914 risiede a Ciano di Crocetta Trevigiana, in qualità di
pittore. Una decina d’anni dopo egli ha quasi smesso di dipingere
ed è costretto a cercare aiuto presso le istituzioni del luogo.
Per un lavoro presso la scuola d’Arti e Mestieri di Crocetta Trevigiana
Rossi aveva scritto il 21 giugno del 1923 al commissario prefettizio
Giorgio Zuppani, ricordando come “secondo istruzioni ricevute,
io avrei l’obbligo di controllare la locale scuola di disegno,
intendo prima di assumere incarichi di questo genere sapere con certezza
se la mia persona sia bene accetta. Mi rimetto quindi alla soluzione
combinata di comune accordo, colla speranza che questo mio atto di vera
umiltà sia compreso da qualcuno nel suo giusto valore”.
Ed ancora “Come Artista, posso esibire una collezione di cataloghi,
articoli, opinioni e giudizi di critici sulla mia opera quali Maurice
Raynal, Ugo Ojetti, Diego Angeli ecc. Ho esposto nel 1912 al Salon d’Automne
a Parigi, - nel 1913 alla Secessione di Roma - in seguito alla Quadriennale
di Torino e alla Galleria Pesaro di Milano con quelli che sono reputati
i Maestri dell’Arte Contemporanea. Ho fatto parte di Giurie e
Commissioni e premiato a Padova con una medaglia d’oro”.
Nella lettera Rossi faceva però cenno alla presenza di una figura
ostile alla sua nomina: “Se qualcuno ha delle ragioni contrarie
lo faccia conoscere - ma che siano ragioni chiare precise e sottofirmate.
Questo per chiarire una situazione che ho sopportato con soverchia pazienza,
dato che l’interessamento personale del Segretario Provinciale
dei Fasci avrebbe dovuto sfatare leggende di genere diverso”.
Si tratta di una lettera scritta con carattere e lucidità, velata
dal dubbio di non essere gradito.
Nella risposta inviatagli dal Presidente della Società di Mutuo
Soccorso, unico organo d’amministrazione e gestione della Scuola
d’Arti e Mestieri si legge: “Come da verbali accordi mi
pregio confermarLe che Lei assume di aiutare l’Architetto Antonio
Varlonga, Direttore della nostra Scuola di Disegno applicato alle Arti
e Mestieri, nell’insegnamento del disegno, nelle ore antimeridiane
delle Domeniche che saranno fissate, di comune accordo, a seconda delle
stagioni. Che per tale sua cooperazione ad una Istituzione cosi provvidenziale
per il nostro comune, la Società nostra Le corrisponderà
lire cento mensili per periodo scolastico, a titolo di modesta gratificazione”.
A favore del pittore era intervenuto Ugo Nebbia, coordinatore della
Corporazione Nazionale delle Arti Plastiche a Venezia, sollecitando
una maggiore attenzione all’opera del pittore Gino Rossi, assunto
con funzioni di assistente nell’insegnamento del disegno applicato
alle arti e mestieri, qualifica inadeguata alle sue eminenti qualità
d’artista. Il Presidente Garizzo poté chiarire la questione,
comunicando al commissario prefettizio che l’assunzione del pittore
era avvenuta a seguito dell’incremento degli alunni e stante il
fatto che il Rossi aveva manifestato al consigliere comunale Buogo l’intenzione
di voler aiutare l’architetto Varlonga. Così il conte Zuppani
poteva rassicurare Ugo Nebbia. “La scuola locale di disegno non
è comunale [...]. Ho ad ogni modo fatto vedere la lettera al
Presidente della Scuola, ed il medesimo mi rispose che ha potuto chiarire
l’equivoco parlando col pittore Gino Rossi, che è qui giustamente
apprezzato e stimato”. Dunque Rossi prendeva servizio come insegnante
il 9 ottobre 1924 ma, già a tre mesi dall’assunzione annunciava
le sue dimissioni, con una lettera del 24 dicembre inviata al Sindaco
di Crocetta; dimostrando delusione e insoddisfazione: ‘Visto il
modo come vengono ricompensate le mie fatiche”.
A pochi giorni dall’inizio dell’anno, appena passate le
feste natalizie, il 3 gennaio del 1925, si giungeva ad un nuovo accordo
tra Gino Rossi, il presidente della Scuola d’Arti e Mestieri e
il Sindaco, per scongiurare l’allontanamento del pittore. Nell’accordo
si stabiliva che dal I° gennaio Rossi avrebbe assunto oltre all’impegno
domenicale anche l’insegnamento serale, per un compenso mensile
di lire 300. In questa decisione doveva aver influito la presa di posizione
degli allievi del “II° e III° corso della scuola domenicale”
i quali fecero pervenire una loro sottoscrizione per scongiurare l’allontanamento
dell’insegnante, “affinché il nostro amato insegnante
abbia da rimanere nostro insegnante”. L’abbandono della
scuola da parte di Gino Rossi era legato ad una particolare condizione
di disagio personale e cosi, nonostante il nuovo contratto, rassegnò
definitivamente le dimissioni nei primi giorni di febbraio del 1925
“per impegni personali”.
L’avvisaglia di tale decisione era contenuta nella lettera indirizzata
a Nino Springolo (suo amico pittore) il 19 gennaio 1925 “[…]
A Ciano è venuto Comisso ma io non c’ero – ero a
Moriago in bicicletta. La scuola mi stringe il cervello – non
potrò continuare a lungo”. Faceva anche il venditore ambulante
di mercerie.
Svanivano per sempre i ricordi felici di Burano, i fasti di Ca’
Pesaro, l’amicizia con Nino Barbantini, Arturo Martini, Umberto
Moggioli, Pio Semeghini, Felice Casorati. Purtroppo la sua stagione
artistica si esaurì nel giro di un decennio dal 1910 al 1920.
Se per la cerchia degli amici Rossi appariva come un giovane di rara
intelligenza, raffinato, colto con un’aria spesso timida ma pronto
a scoppi di vitalità, a fughe verso un’utopia artistica,
la critica finalmente gli riconosce l’impegno di aver contribuito
al rinnovamento dell’arte italiana, come pochi e la sua grandezza
sta proprio in questo.
Nel giugno del 1926, il medico condotto di Crocetta, su ordinanza de
Sindaco, escogita uno stratagemma per prelevarlo dalla sua abitazione
sul Montello. Gli dice che ad attenderlo c’è il suo amico
Barbantini. Riesce, con l’aiuto di due volontari del paese, a
caricarlo in una vettura e ricoverarlo poi al manicomio di Treviso.
Ora tutto è compiuto. L’abbandono è totale. Dallo
stato di indifferenza, dovuto anche ai sistemi di cura del Sant’Artemio,
Rossi non si riprenderà. Nel 1933 gli amici gli organizzano una
mostra a Treviso, nel vano tentativo di scuoterlo dal suo torpore. Il
risultato non fu incoraggiante. Un noto critico d’arte è
solito affermare che per Gino Rossi, si allestì una mostra postuma
di un artista vivente.
A settant’anni dalla sua morte, avvenuta il 16 dicembre 1947,
la Società Operaia di Mutuo Soccorso di Crocetta del Montello
ricorderà Gino Rossi, nel locale ove lui prestò la sua
opera di insegnante di disegno, dedicandogli un recital, in cui Antonio
Chiades, autore di una biografia di Rossi, racconterà la vita
e le opere dell’artista, accompagnato al pianoforte dal M°
Carlo De Battista.
A Crocetta del Montello nella sede della
Società Operaia di Mutuo Soccorso “Lodovico Boschieri”
RECITAL “VITA DI GINO ROSSI”
sabato 16 dicembre 2017, alle 17.0, ingresso libero.
Tiziano Biasi
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